La società-tipo

21.03.2016 11:09 di  Claudio Nassi   vedi letture
© foto di Antonio Vitiello
La società-tipo

Un vecchio detto insegna che le società devono essere formate da un numero dispari di persone inferiore a tre. Se è vero, come è vero, non vedo perché una società di calcio troppo spesso disattenda ciò che dovrebbe avere caro. Ma i nostri padri latini non dicevano "Tante teste, tanti pareri"? Come non condividere? A comandare deve essere il presidente (ed è scontato), poi ci sarà l'operativo, il D.G., con l'allenatore per la parte tecnica. Fermiamoci qui! Né vedo problemi se parleranno solo il numero uno, perché la linea politica sarà sempre la stessa, l'allenatore e i calciatori. Per rimanere tra le mura di casa, Atalanta, Chievo, Empoli, Frosinone, Lazio, Palermo, Udinese e poche altre quando mai si troveranno a sconfessare opinioni diverse? Eppoi l'unico insostituibile è il presidente. Chi firma gli assegni è sacro e si dovrà fare il possibile per migliorarne l'immagine. Non è male ricordarlo, come l'abusata "operazione simpatia", che suggerisce tutto sui comportamenti da tenere.

Alle corte: una società-modello, una precisa suddivisione dei compiti e chiarezza massima tra le parti renderanno tutto più facile. Il calcio, infatti, sarebbe semplice se non ci fossero troppi attorno a renderlo impossibile. Ma ridotte all'essenziale le presenze, si avranno vantaggi. Se si guardano gli organigrammi di alcuni clubs c'è da mettersi le mani nei capelli, con i tanti direttori e responsabili, ma, come ripeto da sempre, la bistecca, che fa alzare il conto al ristorante, è la partita e tutto dipende dai risultati: marketing, merchandising e via dicendo. Quando, nei primi anni '90, sentii Galliani magnificare l'ufficio marketing, risposi: "Se il Milan non vincesse, le entrate pubblicitarie non raggiungerebbero i 30 milioni (20 dalla Opel e 10 dagli sponsors, n.d.a.). Per questo ha la fila alla porta". Inoltre gran parte delle persone che entrano in società devono essere gradite al manager e l'imperativo categorico sarà "lavorare molto e parlare poco". Nessuno deve sapere quello che pensano presidente e manager, ma tutti sapranno che nulla sarà lasciato al caso.

Nel calcio deve esistere la "democrazia totalitaria" o il "totalitarismo democratico", una garanzia per andare bene. Ricordo il Real Madrid di Santiago Bernabeu, quello delle 5 Coppe dei Campioni consecutive, dal '55/'56 al '59/'60. Il D.S. era Saporta, chiamato poi alla vicepresidenza del Banco di Spagna e organizzatore dei Mondiali dell'82. Un numero uno, o, meglio, il numero uno. E Uli Hoeness non ha determinato le fortune del Bayern Monaco, prima di diventarne il Presidente? Come Alex Ferguson, il manager del Manchester United, anche se per vincere non ha badato a spese. Insomma, è l'operativo che deve guidare le danze, accollarsi critiche e responsabilità e lasciare i meriti al presidente. Se volete vincere da qui non si scappa. 

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