Concentrazione e superficialità
Non c'è più sordo di chi non vuol sentire. So di andare controcorrente, come so che ha ragione Leo Longanesi: "L'Italia è un paese dove è meglio avere torto in molti che ragione in pochi", ma non posso esimermi dal farlo. Continuo a chiedermi come si possa dire che il calcio è cambiato, se le misure del campo e delle porte sono le stesse e il pallone è sempre rotondo. Ma sarebbe troppo semplice trovarsi d'accordo. Allora si dice che è più veloce. Però Nils Liedholm, un maestro, ripeteva che "... la palla corre sempre più dell'uomo".
Sono cose dette non so quante volte, a cui stavolta aggiungo un sostantivo: concentrazione. Mi sono chiesto come, in Champions League, il Barcellona possa perdere 3-0 a Roma, pur essendo più forte; o come lo scorso anno il PSG si sia fatto rimontare al Camp Nou il 4-0 dell'andata. Sono fra i casi più eclatanti degli ultimi tempi. Se domando qual'è la dote più difficile da mantenere per un calciatore, la risposta è semplice: la concentrazione. Richiede un impegno incredibile per l'intera stagione. Ma per un professionista, pagato profumatamente, i cali di tensione dovrebbero essere ridotti al minimo. Fa parte del lavoro oggi come lo faceva ieri. Allora dov'è la novità? Nel calcio bisogna spingere a tavoletta. E' vietato rallentare, men che meno staccare. E i pericoli sono gli stessi. Se Bearzot diceva che "... la partita più difficile è quella che fa dormire il sabato notte", ci sarà un motivo. Potrei continuare ricordando che la società non può permettersi distrazioni, perché i calciatori sono soggetti delicati, di difficile gestione. Ma dal momento che vince chi lavora meglio, alla fine arriverà la ricompensa, che potrai gustare solo un attimo, non di più. Altrimenti, come insegnava un grande arbitro, "... ti faranno a cacio e burro".
Detto questo, corre l'obbligo di aggiungere un secondo sostantivo: superficialità. Esisteva anche in passato, ma in misura minore, perché la tattica, ad esempio, aveva ben altra importanza. Non dimentico le parole di Vujadin Boskov quando si pensò di difendere a zona: "Così gli allenatori non perderanno più tempo a studiare le marcature".
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