Candreva e Gullit
Ma un calciatore si giudica da quello che dice, da come appare, o da quello che fa? Nel calcio non pochi si sforzano di identificarlo con l'immagine e la comunicazione, anche se negli altri sport il giudizio cerca il conforto dei numeri. Non vedo come si possa altrimenti. Non a caso l'ex C.T. della pallanuoto Ratko Rudic, se non vado errato il più vincente di sempre, diceva: "Lo sport è matematica. Bisogna sapere che cosa e quanto l'avversario sbaglia per preparare la tattica e bisogna che il giocatore entri in questo ordine d'idee".
La premessa per parlare di un calciatore sottovalutato: Antonio Candreva. Nasce nell''87 a Roma. Gira l'Italia, da Terni a Udine, Livorno, Juventus, Parma e Cesena, prima di arrivare alla Lazio, dove si esprime al meglio: 151 presenze, 41 gol, con punte di 12 e 10 a campionato, e non so quanti assist, dal momento che nessuno crossa meglio, ad eccezione di Lazzari. Dal 2016 al 2020 è all'Inter, dove lo porta Pioli, l'allenatore che lo aveva a Roma. Le presenze sono 124, i gol 12 e gli assist non si contano. Arriva alla Sampdoria nella stagione 2020/21, a 33 anni. Per adesso conta 49 presenze e 11 gol, oltre ai soliti assist. E' il calciatore determinante.
Ma non è un caso, perché chi scende da Milano a Genova torna a nuova vita. Il mare lo rigenera e Marassi non è San Siro, né gli spogliatoi ospitano tante prime donne. Facile ricordare quelli che vanno in Liguria sul viale del tramonto e allungano la carriera. Da Cucchiaroni a Skoglund, Vincenzi e Suarez, solo per citare blucerchiati tra i più famosi. Ebbene, Candreva non si sente mai. Non una polemica, anche se siede in panchina o va in tribuna, nonostante le 54 presenze in Nazionale e i 7 gol. Un signor professionista e ottimo calciatore, superiore a non so quanti nel ruolo, anche tra gli osannati.
Non credo sia un paragone azzeccato, ma lo è per la discesa in Liguria: ricorda Ruud Gullit. Anche l'olandese quando arrivò a 31 anni alla Samp espresse il meglio di sé. A Milano non era il numero uno. Aveva davanti Baresi, Van Basten, Maldini e Rijkaard. Si trovava in seconda fila, lui che era sempre stato in prima: in nazionale, al PSV, al Feyenoord e ad Haarlem. Come Mancini, che, chiamato in azzurro, se la doveva vedere con altri big. Li soffrivano, si sentivano ridimensionati e non lo accettavano. Cosa che non tocca Candreva, raramente con titoli cubitali e foto in prima pagina, anche se, dentro di sé, non so quante volte si è sentito superiore a chi li aveva.
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