Li vorrei preparati!
Telefona Stefano Fiorini, Presidente dei preparatori atletici e Vicepresidente degli allenatori. Uno dei suoi associati non ha trovato di gradimento quanto detto della categoria. Facile rispondere, perché, nel toccare il tasto dei troppi infortuni, ripetevo i concetti di sempre e lamentavo l'improvvisazione con cui si avvicina al calcio tanta parte di addetti ai lavori: medici, allenatori, massofisioterapisti e preparatori. Eppoi, dal momento che lavorava con Egisto Pandolfini, che avevo recuperato alla Fiorentina dall'esilio di Viareggio, Fiorini lo sapevo preparato. Nello stesso tempo ricevevo una e-mail da un preparatore atletico cinquantenne, con esperienze all'estero e in Italia, dalla A alle serie inferiori. Concordava su tutto e aggiungeva: "Quello che scrive dovrebbe essere materia di studio obbligatoria per chiunque voglia capire come funziona il calcio".
Incoraggiato, mi avventuravo a leggere l'inchiesta dell'ottimo Francesco Salvo sui settori giovanili. Il responsabile dell'Atalanta, Maurizio Costanzi, spiegava che "... la vera questione del calcio giovanile in Italia non è il "prima" ma il "dopo", non è il "quanto" ma il "come". I club esteri non spendono più dei nostri, ma credono nell'utilizzo del prodotto finito. Non lo mandano a farsi le ossa, lo trapiantano in prima squadra. La differenza tra noi e loro non è economica, è filosofica". Apprendevo da Samaden, Vicepresidente del Settore Giovanile della FIGC e responsabile dell'Inter, che "... più che del vertice dovremmo preoccuparci della base. Dei bambini cioè. Iniziamo col chiederci quanta attività motoria fanno" e via dicendo. Leggevo con piacere ciò che affermava uno dei primi maestri di Fabio Cannavaro: "In Italia i parametri richiesti sono fisicità, capacità di corsa e atletismo. Poi ci lamentiamo della mancanza di talenti".
Finalmente si parlava di calcio, prima di ascoltare un concetto trito e ritrito dal coordinatore tecnico della FIGC, Maurizio Viscidi: "Nel settore giovanile uno guadagna poco, Primavera esclusa. Logico voglia andarsene. E può farlo solo vincendo. Per questo è stato messo da parte l'insegnamento dei fondamentali ed è venuta meno la figura del maestro di calcio". Peccato abbia vissuto in tempi dove esistevano non solo i maestri, ma allevatori degni di questo nome, dove i guadagni erano modesti, dove non solo si insegnavano i fondamentali e quindi il calcio, ma l'educazione, il rispetto, la puntualità ecc. ecc., e ogni anno più di uno saliva agli onori della prima squadra. Perciò siamo sicuri che si faccia calcio come si dovrebbe o ci si preoccupa solo di apparire, curare l'immagine, la comunicazione e di insegnare lo schema?
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