La Nazionale? Un rebus
Roberto Mancini, nel primo giorno da C.T., disse che la Nazionale doveva tornare al posto che merita: sul tetto del mondo. Ma forse basterebbe su quello d'Europa, perché, Nations League a parte, il campionato continentale è l'appuntamento importante più ravvicinato. A dire il vero lo vorremmo tutti e desidereremmo sapere come ci riuscirà. Per adesso è stato detto che da una grande delusione possono nascere grandi trionfi, seguiti da un'autentica rivoluzione. Qualcuno ha paragonato Mancini a Bernardini e Sacchi. Il primo raccolse l'eredità di Valcareggi, dopo la sfortunata spedizione al Mondiale del 1974 in Germania; il secondo sostituì Vicini, dopo la mancata qualificazione a Euro 1992. Stupisce addirittura che li abbia superati, coinvolgendo, credo, 47 calciatori dopo le prime 7 partite, con 39 impiegati. Bernardini e Sacchi erano arrivati a 41, con, rispettivamente, 34 e 32 utilizzati.
Perché si commettono simili errori? Tutti sanno che il selezionatore è diverso dall'allenatore. Tutti sanno che il tempo a disposizione per mettere in campo la Nazionale è limitato, perché campionato e coppe lo vietano. Allora non rimane che lasciar perdere le rivoluzioni, armarsi di buon senso e sposare la logica, che suggerisce di far giocare i calciatori come nelle loro squadre, per ridurre al minimo gli squilibri. D'accordo, cambieranno i compagni, ma, chiamati a fare le stesse cose, tutto sarà più facile. E' la scoperta dell'acqua calda, ma se in Brasile Tite è riuscito, dopo il disastroso 7-1 con la Germania al Mondiale di Rio, a riportare i verdeoro a vincere i Sudamericani e a riacquistare credibilità, vuol dire che si può fare. Se, invece, cambio i calciatori come fossero pedine della dama, andrò poco lontano, nonostante gli avversari non siano di primo livello. La maglia azzurra deve essere per i migliori e non è impossibile scegliere tra il 35% di italiani presenti in Serie A. Guarda caso, per una volta sono i tanti stranieri a rendere il compito meno difficile.
Poi il destro a destra e il sinistro a sinistra, un regista, due centrali, centrocampisti capaci di interdire, impostare e concludere e attaccanti con il gol nel dna. Eppoi ricordare che le partite si vincono a centrocampo e che una squadra forte sul piano fisico, veloce e con tutti gli elementi capaci di andare a rete, sarà sempre una garanzia. Inoltre si può confezionare in più modi. Se ho Riva e Boninsegna sarà più semplice; altrimenti, con attaccanti di movimento, centrocampisti che si inseriscono e difensori che sono un pericolo sulle palle inattive, avrò aggirato l'ostacolo e, magari, causato qualche problema in più. Infine ai patiti degli schemi, del 4-3-2-1 o del 3-5-2, ricordo che il 50% dei gol nasce da palla inattiva. Allora, se si preparano come si conviene, avremo un atout in più, come se avrò imparato a dispormi quando sono a sfavore. Cosa che nessuno sa fare. Infine ecco una regola di Bela Guttmann, tanto elementare quanto spesso disattesa: "Quando sei in possesso del pallone, smarcati; quando invece l'hanno gli avversari, marca. Il calcio è tutto qui". Ma se gioco con Jorginho e Verratti a centrocampo, quando la palla l'hanno gli altri, chi la recupererà? Non sempre trovo l'Ucraina e la Polonia.
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